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Raffaele Palumbo

Siamo tutti sulla stessa barca: bisogna imparare a condividere

in Premio von Rezzori / Firenze by

Intervista a Raffaele Palumbo

Stamattina, dopo la breve conferenza in onore del libro di Dinaw Mengestu, dove egli stesso è intervenuto, abbiamo chiesto al giornalista Raffaele Palumbo di poterci rilasciare un’intervista.

Che cosa le ha lasciato questo libro a livello personale e come si è sentito una volta terminata la lettura?

RP: La cosa più bella è questo necessario incontro tra persone che noi amiamo chiamare ‘diversi’, dimenticando che siamo tutti un evento unico nella storia dell’umanità e che siamo tutti diversi per definizione. E anche la difficoltà di costruire una storia come dire d’ “amore” tra persone di diversa provenienza, diversa cultura, diverso status economico, diverso modo di stare al mondo, diverse religioni, diverso modo di mangiare, di vestire, ecc… E anche attraverso quella storia d’amore noi per certi versi –come dire- ci rendiamo conto della inevitabilità [scandisce ampiamente] dello stare insieme. Noi cerchiamo la separazione, i muri, gli inni nazionali, i passaporti, i fili spinati e non ci rendiamo conto; immaginiamoci su una barca e su questa barca c’è quello del ponte superiore che esibisce il passaporto per passare al ponte inferiore: allora se la vedete così vi rendete conto e tutto ciò vi fa sorridere poiché ci accorgiamo di quanto sia ridicolo. Noi non abbiamo un’altra scelta che non sia condividere questo pianeta, perché non ne abbiamo altri e questa in realtà è una grande fortuna; e questo libro ci ricorda che il mescolarsi, il muoversi è ciò che fa girare il mondo. Paradossalmente, potremmo dire che se le persone smettessero di muoversi il mondo smetterebbe di girare e questo è una delle cose meravigliose che questo libro ci racconta.

Come si è avvicinato al mondo del giornalismo?

RP: La cosa che ci salva è raccontarci le storie. Ciò che affossa il giornalismo è il non raccontarle. Noi non raccontiamo più le storie, raccontiamo i numeri: “morte 32 persone nel canale di Sicilia…” abbiamo tolto l’umanità alle persone. Questo romanzo ci dà la possibilità di raccontare delle storie, narrando di persone, mentre noi trattiamo di numeri, stereotipi, cose astratte. Un grande narratore, un grande giornalista che si chiamava Capuceschi diceva –parlando di giornalisti- che “il buon giornalista non può essere cinico, perché non è adatto a questo mestiere, perché non è possibile raccontare la vicenda di qualcuno senza aver vissuto un pezzetto della sua storia”. Allora il raccontare le storie della gente, delle persone, belle, brutte, è l’unica strada di salvezza ed è l’unica strada per cercare di stare insieme, di generare comunità e per questo comunicare nel senso etimologico, cioè mettere in comune e non vivere accoltellandosi alle spalle.

Nel singolo, nessuno direbbe mai ‘io discrimino, io sono razzista’, però quanto ognuno di noi, vedendo l’Africa disegnata così drasticamente ridotta sulla cartina, coi suoi stati tracciati col righello, può davvero considerarsi ‘pulito’?

RP: Puliti poco. Nel senso che nessuno di noi è pulito finché non ci guardiamo allo specchio. Vediamo una tragedia e continuiamo la nostra vita voltandogli le spalle, finché non rinunciamo a qualcosa, perché vogliamo la macchina da tremila di cilindrata, il petrolio, mangiare otto volte al giorno, vogliamo tutto in sostanza. Così non si può sentire pulito colui che disegna la cartina ‘gerarchica’ né possiamo noi che andiamo a fare la spesa comprando le banane ad un prezzo ignominiosamente basso, perché vogliamo mangiare cinquanta banane al giorno, non ce ne basta una e poi muoiono tutti di infarto a cinquant’anni per le cosiddette ‘malattie del benessere’. Tutto torna lì: ognuno deve portare avanti la propria rivoluzione individuale, lì sta il cambiamento. Terzani diceva: “Il guru è dentro di te. La rivoluzione è dentro di te.” Se impariamo a stare al mondo in modo tale da essere ogni giorno consapevoli del fatto che abbiamo rispettato questo pianeta, che abbiamo vissuto in modo sostenibile, rispettando i nostri simili –vicini o lontani che siano- allora abbiamo fatto la rivoluzione dentro di noi. Se invece hai inquinato, iperconsumato, il Pianeta alla fine ne risentirà: perché è un sistema chiuso. Niente si crea, niente si distrugge. E’ un gioco a somma zero, se io mangio dieci, qualcun altro mangerà uno. E ciò avviene non perché non ci siano risorse, ma perché abbiamo creato un sistema iniquo. Abbiamo la possibilità di produrre genere alimentari per il doppio della popolazione mondiale, ma al contempo un miliardo di persone muore di fame. Per cui ciascuno faccia la propria parte.”

Carlotta Baglivi, Federico Balzani
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