L’agenda ritrovata per Paolo Borsellino
Il 31 Marzo si è tenuto un incontro molto interessante in una piccola ciclofficina di Milano. Questo semplice e modesto luogo è simbolo di una grande idea pensata da Gianni Biondillo, scrittore di numerosi gialli, Walter Palagonia, presidente dell’associazione Blu e Salvatore Borsellino, promotore del movimento dell’agenda Rossa, la famosa agenda di Paolo Borsellino, che non fu mai più trovata dopo l’attentato in via D’Amelio a Palermo. L’iniziativa portata avanti è quella di una ciclo-staffetta che coinvolgerà tutta l’Italia. Ma perché una staffetta così impegnativa che richiede tanto tempo e molta organizzazione? Perché è portatrice di un grande messaggio. Lo scopo della ciclo-staffetta, che partirà da Bollate il 25 Giugno (giorno dell’ultimo discorso pubblico tenuto da Paolo Borsellino) e che terminerà a Palermo il 19 Luglio (anniversario della morte del magistrato) sarà infatti quello di portare un’agenda rossa (proprio come quella di Paolo) fino a Palermo e a ogni tappa compilarla con qualche commento o con una semplice firma così da ricordare la grande opera di lotta alla mafia compiuta da Paolo Borsellino insieme a tanti grandi magistrati e uomini. Sarà quindi un evento che coinvolgerà tante persone da ogni parte del Paese che, come ha detto Salvatore Borsellino, portano l’agenda Rossa nel cuore.
Ma anche se sono tante, alla domanda: “La società ha una reale percezione della realtà in cui viviamo o non è abbastanza sensibilizzata sul tema della mafia?” Salvatore Borsellino ha ammesso che, nonostante siano sempre di più i giovani che aderiscono al suo movimento, le persone, in particolare quelle al Nord, non percepiscono una forte presenza mafiosa perché ormai le mafie hanno cambiato modo di agire.
Ad una successiva domanda sul rapporto che sussiste tra politica e mafia, Salvatore Borsellino dice che gli ultimi venticinque anni della storia dello Stato italiano sono stati direttamente influenzati da varie trattative tra Stato e mafia che costò la vita a molte persone che hanno deciso di opporsi, come ad esempio Paolo Borsellino. La prima trattativa stabiliva di eliminare del tutto i nemici dell’organizzazione criminale e i politici che non avevano mantenuto le promesse strette, fra cui i ministri democristiani che da sempre avevano stretto rapporti con la mafia e anzi avevano assicurato l’incolumità e l’impunità dei soci: infatti tutti i loro processi venivano affidati alla Corte suprema di Cassazione dove Corrado, magistrato italiano, li depennava finché l’intervento di Giovanni Falcone riuscì a riportare un po’ di giustizia nel Maxiprocesso di Palermo che coinvolse circa 475 imputati con diversi capi d’accusa e che si concluse con 19 ergastoli e pene detentive nonostante Riina, uno dei capi dell’organizzazione, avesse assicurato ai mafiosi che tutto si sarebbe concluso al meglio. Questo ebbe successivamente un risvolto negativo: attirò infatti verso Falcone, Borsellino, anche lui artefice del Maxiprocesso. Falcone e Borsellino vennero condannati a morte e altri personaggi importanti che, per salvaguardare la loro vita, chiesero ai servizi segreti di trattare con la mafia. La prima trattativa si concluse con la cattura di Riina dovuta al fatto che Provenzano, un’altra delle anime della mafia operanti in Sicilia, lo “vendette” perché aveva una politica diversa dalla sua, che prevedeva una sorta di alleanza con lo Stato: cercare di infiltrarsi in esso dando i voti a coloro che li sostenevano per ricevere in cambio aiuto. Da questi episodi nacque la seconda trattativa, condotta inizialmente da Marcello Dell’Utri, politico italiano, in cui la mafia si è preparata e si prepara tuttora ai prossimi rapporti con il potere e in particolare con il partito che governerà. Questi fatti reali hanno determinato gli equilibri del potere nel nostro Paese e la politica non solo risulta manovrata in parte dalla mafia ma il suo sistema di potere è la diretta conseguenza delle trattative. “Questo”, conclude Borsellino, “è il nostro Paese, dobbiamo sperare per un futuro migliore a patto che non ci limitiamo a sperare ma combattiamo per far sì che la speranza diventi realtà e questo possono farlo i giovani”. Paolo Borsellino scrisse nella sua ultima lettera “Io sono ottimista” pur sapendo che in quello stesso giorno sarebbe morto ma era fermamente convinto che i giovani sarebbero riusciti a cambiare le sorti del Paese.
Alla domanda se sia mai successo che un criminale o un pentito si sia reso conto delle azioni empie che ha compiuto e abbia deciso di collaborare per la scoperta della verità e per estirpare il fenomeno della mafia, Salvatore Borsellino risponde che quelli davvero intenzionati a farlo sono veramente pochi. I pentiti infatti, nome che indica coloro che dapprima appartenenti ad un’organizzazione criminale decidono di collaborare con la giustizia, il più delle volte sono persone che decidono di passare dall’altro lato per avere unicamente sconti di pena, quindi sempre guardando i propri interessi. Salvatore però non dimentica di nominare quelle poche eccezioni alla regola: è il caso di Tommaso Buscetta, un tempo criminale italiano e membro di Cosa nostra, successivamente diventato collaboratore di giustizia. La mafia a cui lui apparteneva, dice Salvatore, perlomeno non ammazzava donne e bambini e quando si trovò di fronte alla mafia stragista di Totò Riina, che non guardava in faccia né donne né bambini, decise di unirsi allo Stato e le sue rivelazioni furono molto importanti per meglio comprendere la struttura e i vari aspetti di Cosa nostra. Senza di lui, dice, non si sarebbe neanche saputo che la mafia al suo interno si chiamasse Cosa nostra, nome sconosciuto fino al suo arrivo. Salvatore continua nominando tra le eccezioni anche Vincenzo Calcara, anch’egli membro di Cosa nostra e successivamente collaboratore di giustizia. Ai suoi tempi di criminale era stato incaricato di uccidere Paolo Borsellino con un fucile di precisione tra Marsala e Palermo ma quell’attentato saltò ed egli, dopo essere stato accusato di aver rubato delle valige piene di droga e averle fatte sparire e resosi conto che presto lo avrebbero ammazzato, decise di andare a parlare con Paolo Borsellino. Dopo questo incontro Calcara ebbe veramente un cambiamento interiore e un salto di qualità che lo spinsero a dare il suo aiuto alla giustizia, nonostante fosse cresciuto come un mafioso. Salvatore continua dicendo che i pentiti sono perlopiù collaboratori di giustizia, molto importanti al punto che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno voluto una legislazione premiale per loro, ma ammette anche che di fronte ad uno di loro bisogna essere molto cauti e accertarsi della veridicità di quello che dicono.
Alla domanda se nutre speranza per questo paese Salvatore risponde che essa soltanto non serve a niente. Non basta sperare e soprattutto non basta aspettare che qualcuno faccia qualcosa per noi. “Dobbiamo agire, dobbiamo lottare, dobbiamo combattere. Altrimenti le cose non cambieranno mai”.