La letteratura fine a se stessa?
Intervista a Andrea Bajani
Lei in un’intervista ha detto che ciò che manca al motore dei nostri giorni nostri è che alla letteratura venga dato uno spazio sempre più marginale ed esclusivamente di intrattenimento e di colore. Pensa che eventi come questo, al quale partecipano anche molti ragazzi, sia un modo per riempire questo pezzo mancante?
Il problema della letteratura è che ha bisogno di spazio. È come se le fosse riservato uno spazio piccolissimo che deve essere inserito tra i mille impegni della giornata. Iniziative come queste, ovvero i festival e gli eventi letterari, sono da un lato meritevoli perché attirano l’attenzione su qualcosa che ha bisogno di attenzione, ma allo stesso tempo vanno ad inserirsi in un “mercato” dell’intrattenimento. Dell’intrattenimento di alto livello, naturalmente, ma fanno sempre parte del “Cosa facciamo stasera? Andiamo al cinema, a prendere un cocktail, a prendere un aperitivo o a vedere uno scrittore che parla?”.
Quindi il rischio di questi eventi è che diventino una sorta di “spettacolarizzazione”, che diventino uno dei tanti canali della televisione. Ovviamente il punto, e in particolare nel Premio Gregor von Rezzori è questo che conta, è la qualità. Questo è un festival che garantisce la non commercialità di ciò che propone. Non vengono premiati gli autori che noi siamo abituati a vedere in televisione, ma qualcosa di diverso. Quindi per forza di cosa chi viene qua deve crearsi un vuoto per entrare in contatto con delle esperienze letterarie di altissimo livello.
In un’altra intervista lei ha detto che il rapporto tra dei ragazzi con la letteratura è viziato da un’impostazione scolastica, giustamente a mio parere. Se lei dovesse spiegare ad un ragazzo che la letteratura non è solo quella che noi studiamo e da cui dobbiamo imparare che però percepiamo distante da noi, ma può appartenerci e può essere un mezzo intimo per analizzare la nostra personalità, come lo spiegherebbe?
Prima di tutto bisogna dire che leggere non è obbligatorio. Io non penso che la letteratura sia l’unico mezzo per farsi delle domande o per raggiungere chissà quale consapevolezza di sé, ce ne sono moltissime: quindi prima di tutto bisogna sgomberare il campo dall’equivoco che se non si legge siamo superficiali. Ci sono persone che non hanno mai aperto un libro ma che hanno una profondità assoluta: il punto è fare dei pensieri grandi. In secondo luogo, penso che la letteratura e l’adolescenza siano due luoghi molto simili. Sono dei luoghi in cui ci si trova ad avere a che fare con delle enormi contraddizioni, con le emozioni dai segni più opposti, dall’allegria alla depressione. Credo che si possa dire solo questo ad un ragazzo. Ed un ragazzo ha tutto il diritto di poter essere affascinato da questo luogo, o di dirsi “basto io”. Quanto alla scuola, non credo che esista nessuna ricetta per far venir voglia ad un ragazzo di leggere. L’unica cosa che si può passare ad una persona è l’effetto che fa a te. Prendiamo due bambini che giocano, un bambino vuole il gioco dell’altro: ma tendenzialmente non vuole solo il gioco dell’altro, ma vuole gli occhi che ha l’altro bambino quando gioca. Quindi l’unica cosa che si può tentare è un contagio. Ci sono insegnanti noiosissimi, ma che hanno una tale passione per ciò che insegnano, che magari può passare a uno o due dei suoi studenti. Questo è quello che conta, non solo con gli insegnanti ma anche con i genitori e i figli: il fatto di aver davanti qualcuno vero.
Parlando di Cartarescu, lo scrittore nella conferenza ha descritto il suo tempio della letteratura: al primo piano ha posto la narrativa, al secondo la poesia e al terzo le visioni. In cima a questo tempio Mircea ha posto lo scrittore che per lui racchiude questi tre piani, che è Kafka. Se lei dovesse porre qualcuno su questa cima, che scrittore sarebbe?
Questa poetica che Cartarescu ha corrisponde anche alla stratificazione dei suoi libri, i suoi libri hanno questi tre piani. Il pensiero comune è che Kafka sia stato il più grande scrittore, quantomeno del Novecento, è davvero quello che è riuscito a coniugare il piacere della lettura, l’ironia, l’angoscia.. è difficile pensare a uno scrittore più grande di Kafka.
Sempre Cartarescu ha detto, poco fa, che “la mancanza di successo è la cosa più nobile per uno scrittore”. Questa è un’affermazione innovativa nella società attuale dove gli scrittori sono, generalmente, sempre più avidi di successo e di notorietà. Lei che ne pensa?
Beh è vero, e questo è legato al fatto che la letteratura sia diventata uno dei filoni del mercato. Allo scrittore per sopravvivere è richiesta una performance economica, o meglio una performance editoriale che produca degli utili; è messo nella condizione di tentare in tutti i modi di procacciarsi il numero di lettori sufficienti ad ottenere quel risultato economico che gli consente di sopravvivere. Questo innesca un meccanismo deleterio che è quello di rispondere a un’aspettativa, il tentativo di capire cosa piacerebbe leggere alle persone, che è poi quello su cui si basa il marketing. Tutti noi tendiamo a rispondere all’aspettativa degli altri, è un istinto comune anche nei rapporti umani. Questo nello scrittore può, non necessariamente, determinare un abbassamento della qualità, perché nella letteratura il vero obbiettivo è deludere l’aspettativa, deludere il lettore, far crollare la sua visione del mondo. Quindi naturalmente quella di Cartarescu era una provocazione e quando la letteratura è, come lui dice, un “fiore nella miniera”, cioè quando tenta di farsi vedere per quello che è, allora sì che è una grande letteratura. Detto questo, ogni scrittore nel mondo da quando esiste il mercato ha il desiderio che il suo libro venda milione di copie.