Gli eventi culturali visti dai giovani delle scuole superiori

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Firenze

Dany Laferrière: uomo di grande carisma

in Premio von Rezzori / Firenze by

Presentazione del libro di Dany Laferrière “Tutto si muove intorno a me”, introduce Simona Fortuna

Il giorno 6 Giugno 2016 si è svolta la presentazione del libro “Tutto si muove intorno a me” di Dany Laferrière, introdotta da Simone Fortuna.

“Il cemento degli edifici più importanti, che non vibra, è quello che crolla prima”. Con questa frase Simone Fortuna apre la presentazione, continua dicendo che il ruolo dello scrittore è di raccontare i fatti, sperando che dietro il libro si pongano interrogativi. Laferrière in base a ciò che viene detto precedentemente, afferma che non sta allo scrittore dire se c’è o meno una causa universale ma spetta al lettore. L’obbiettivo di Laferrière è quello di dare una testimonianza diretta, infatti per lui era importante essere considerato come l’unico a scrivere nel momento esatto del terremoto.

In seguito il nipote chiede a Laferrière di non scrivere il libro, poiché è la generazione del giovane quella più colpita dal terremoto. Laferrière però si sente chiamato in causa, e citando Omero: “Dio manda sventure perché gli scrittori possano scrivere i canti” decide di continuare.

Alla domanda: “perché ha diviso il libro in cosi tanti capitoli?” lo scrittore risponde mettendo sullo stesso piano le esplosioni del terremoto con i capitoli, quindi un’esplosione di capitoli, considerando anche che il terremoto non riguarda solo lo scrittore ma anche tutte le persone coinvolte, da qui tante altre storie quante quelle delle persone. Inoltre “ironizzando”, tende a sottolineare l’ “effervescenza” della città la quale anche se apparentemente morta ancora trema, quindi è viva. La presentazione si conclude con una bellissima considerazione su Haiti da parte di Laferrière. Spiega che in seguito al terremoto il suo rapporto con la madre terra non sarebbe assolutamente potuto cambiare, perché quello rimarrà per sempre, ma non sa se ama Haiti di più o di meno anche perché dopo il verbo amare non si deve aggiungere altro. Amare “di più” o “di meno” non è vero amore.

Inoltre ci tiene a sottolineare che negli anni successivi sono stati destinati ad Haiti miliardi per una ricostruzione “fisica” della città, quando la vera ricostruzione sarebbe dovuta essere quella “umana”, infatti i mass media si sono scordati di quello che è successo alla sua terra.

La città e gli abitanti hanno resistito da soli, nessuno si aspettava o si aspetta soldi dall’esterno.

Cosimo Iacopozzi, Vittoria Cima, Selene Murittu e Youness Mattia Loutfi

La perdita del pensiero critico

in Premio von Rezzori / Firenze by

Intervista a Ernesto Ferrero, direttore editoriale del Salone Internazionale del Libro di Torino

In un momento come questo e all’interno della società attuale, nella quale meno si pensa meglio è, ritiene che la promozione della letteratura e della cultura possa essere funzionale a preservare e ad incentivare il pensiero critico?

Questo è proprio il discorso che farò tra poco alla Premiazione in Palazzo Vecchio. Il problema è esattamente questo: mi sembra che viviamo in un’epoca in cui l’esercizio del pensiero critico e in generale della conoscenza non è molto pregiato. Siamo appiattiti in un presente precario, confuso e affannato, prigioniero di se stesso. Anche l’esercizio della memoria, non nostalgica ma critica, funzionale a cavar fuori dal passato elementi che servono alle generazioni di oggi, non è intrapreso neanche nelle scuole. Il passato è tutto messo sullo stesso piano, la Prima Guerra Mondiale così come i Faraoni..questo è uno dei tanti aspetti del problema. La stessa narrativa ci propone dei modelli di intrattenimento, spesso anche molto buoni. Per carità, questo va benissimo, ma come tutte le diete non possiamo solo nutrirci di intrattenimento. È ovvio che la lettura di un certo genere richieda un minimo di fatica, ma poco tempo fa riflettevo che nel campo della nostra corporalità siamo tutti disposti a sforzarci, facendo sacrifici per il nostro fisico, andando in palestra, facendo jogging, fatica che è considerata sana e produttiva. La stessa fatica applicata alla lettura invece no. Ci sono ricerche che dimostrano che la lettura è fondamentale nello sviluppo dei circuiti neuronali dei bambini e nel ritardo del degrado neuronale degli anziani. La lettura dovrebbe essere gestita dal Ministero della Sanità! La cosa curiosa è appunto questo rifiuto di una lettura critica preferendo generi che confermano quello che già sappiamo. Quindi iniziative come questa vanno nella direzione giusta, ma purtroppo non bastano. Noi, al Salone Internazionale del Libro di Torino, abbiamo investito molto sui bambini. C’è un bellissimo progetto che si chiama “Nati per leggere” che mette insieme bibliotecari e pediatri proprio per incentivare le famiglie e dire “Leggete ai vostri figli!”. Per quanto riguarda i genitori siamo sempre intorno al problema “Chi educherà gli educatori?”. Chi educherà i genitori ad essere genitori consapevoli che non possono cavarsela solo regalando telefonini e dando una paghetta? Poi ci lamentiamo se i ragazzi, non tutti ovviamente, sono quello che sono.. certo, se non investiamo niente su di loro!

Lei è Direttore editoriale del Salone Internazionale del Libro di Torino dal 1998: in questi anni ha potuto notare cambiamenti nella risposta del pubblico, in particolare nel periodo di crisi economica?

Come succede spesso in situazioni storiche come quella che stiamo vivendo si è creata una forbice: da una parte c’è un’elite sempre più preparata e avvertita, dall’altra c’è una massa brancolante nel nulla. A Torino c’è invece una specie di mistero gaudioso perché ogni anno noi registriamo un numero incredibile di affluenze, come duecentosettantamila passaggi, un pubblico di una competenza e di una sensibilità pazzesche! Le cito l’ultimo caso: il lunedì pomeriggio di quest’anno erano presenti trecentocinquanta persone ad ascoltare una lezione sulla matematica degli Arabi. Il paradosso italiano è che i lettori “forti” italiani sono più forti dei lettori “forti” degli altri paesi. Bisogna allargare questo cerchio di eventi perchè il pubblico risponde, ma manca un segnale forte dal paese.

Secondo lei quale innovazioni si potrebbero applicare al Premio Gregor Von Rezzori, che già è molto prestigioso, per renderlo ancor più conosciuto e partecipato?

Quello che ha fatto quest’anno, cioè coinvolgere i giovani. E per fare questo la giuria deve stare attenta a scegliere dei libri che siano capaci di coinvolgere ed interessare. È un discorso difficile da fare perchè si tratta di unire la sensibilità di chi sceglie e la sensibilità dei ragazzi, che la maggior parte delle volte è molto diversa, come è ovvio che sia. A proposito di questo c’è molto da riflettere.

Giulia Cozzi

Siamo tutti sulla stessa barca: bisogna imparare a condividere

in Premio von Rezzori / Firenze by

Intervista a Raffaele Palumbo

Stamattina, dopo la breve conferenza in onore del libro di Dinaw Mengestu, dove egli stesso è intervenuto, abbiamo chiesto al giornalista Raffaele Palumbo di poterci rilasciare un’intervista.

Che cosa le ha lasciato questo libro a livello personale e come si è sentito una volta terminata la lettura?

RP: La cosa più bella è questo necessario incontro tra persone che noi amiamo chiamare ‘diversi’, dimenticando che siamo tutti un evento unico nella storia dell’umanità e che siamo tutti diversi per definizione. E anche la difficoltà di costruire una storia come dire d’ “amore” tra persone di diversa provenienza, diversa cultura, diverso status economico, diverso modo di stare al mondo, diverse religioni, diverso modo di mangiare, di vestire, ecc… E anche attraverso quella storia d’amore noi per certi versi –come dire- ci rendiamo conto della inevitabilità [scandisce ampiamente] dello stare insieme. Noi cerchiamo la separazione, i muri, gli inni nazionali, i passaporti, i fili spinati e non ci rendiamo conto; immaginiamoci su una barca e su questa barca c’è quello del ponte superiore che esibisce il passaporto per passare al ponte inferiore: allora se la vedete così vi rendete conto e tutto ciò vi fa sorridere poiché ci accorgiamo di quanto sia ridicolo. Noi non abbiamo un’altra scelta che non sia condividere questo pianeta, perché non ne abbiamo altri e questa in realtà è una grande fortuna; e questo libro ci ricorda che il mescolarsi, il muoversi è ciò che fa girare il mondo. Paradossalmente, potremmo dire che se le persone smettessero di muoversi il mondo smetterebbe di girare e questo è una delle cose meravigliose che questo libro ci racconta.

Come si è avvicinato al mondo del giornalismo?

RP: La cosa che ci salva è raccontarci le storie. Ciò che affossa il giornalismo è il non raccontarle. Noi non raccontiamo più le storie, raccontiamo i numeri: “morte 32 persone nel canale di Sicilia…” abbiamo tolto l’umanità alle persone. Questo romanzo ci dà la possibilità di raccontare delle storie, narrando di persone, mentre noi trattiamo di numeri, stereotipi, cose astratte. Un grande narratore, un grande giornalista che si chiamava Capuceschi diceva –parlando di giornalisti- che “il buon giornalista non può essere cinico, perché non è adatto a questo mestiere, perché non è possibile raccontare la vicenda di qualcuno senza aver vissuto un pezzetto della sua storia”. Allora il raccontare le storie della gente, delle persone, belle, brutte, è l’unica strada di salvezza ed è l’unica strada per cercare di stare insieme, di generare comunità e per questo comunicare nel senso etimologico, cioè mettere in comune e non vivere accoltellandosi alle spalle.

Nel singolo, nessuno direbbe mai ‘io discrimino, io sono razzista’, però quanto ognuno di noi, vedendo l’Africa disegnata così drasticamente ridotta sulla cartina, coi suoi stati tracciati col righello, può davvero considerarsi ‘pulito’?

RP: Puliti poco. Nel senso che nessuno di noi è pulito finché non ci guardiamo allo specchio. Vediamo una tragedia e continuiamo la nostra vita voltandogli le spalle, finché non rinunciamo a qualcosa, perché vogliamo la macchina da tremila di cilindrata, il petrolio, mangiare otto volte al giorno, vogliamo tutto in sostanza. Così non si può sentire pulito colui che disegna la cartina ‘gerarchica’ né possiamo noi che andiamo a fare la spesa comprando le banane ad un prezzo ignominiosamente basso, perché vogliamo mangiare cinquanta banane al giorno, non ce ne basta una e poi muoiono tutti di infarto a cinquant’anni per le cosiddette ‘malattie del benessere’. Tutto torna lì: ognuno deve portare avanti la propria rivoluzione individuale, lì sta il cambiamento. Terzani diceva: “Il guru è dentro di te. La rivoluzione è dentro di te.” Se impariamo a stare al mondo in modo tale da essere ogni giorno consapevoli del fatto che abbiamo rispettato questo pianeta, che abbiamo vissuto in modo sostenibile, rispettando i nostri simili –vicini o lontani che siano- allora abbiamo fatto la rivoluzione dentro di noi. Se invece hai inquinato, iperconsumato, il Pianeta alla fine ne risentirà: perché è un sistema chiuso. Niente si crea, niente si distrugge. E’ un gioco a somma zero, se io mangio dieci, qualcun altro mangerà uno. E ciò avviene non perché non ci siano risorse, ma perché abbiamo creato un sistema iniquo. Abbiamo la possibilità di produrre genere alimentari per il doppio della popolazione mondiale, ma al contempo un miliardo di persone muore di fame. Per cui ciascuno faccia la propria parte.”

Carlotta Baglivi, Federico Balzani

La letteratura fine a se stessa?

in Premio von Rezzori / Firenze by

Intervista a Andrea Bajani

Lei in un’intervista ha detto che ciò che manca al motore dei nostri giorni nostri è che alla letteratura venga dato uno spazio sempre più marginale ed esclusivamente di intrattenimento e di colore. Pensa che eventi come questo, al quale partecipano anche molti ragazzi, sia un modo per riempire questo pezzo mancante?

Il problema della letteratura è che ha bisogno di spazio. È come se le fosse riservato uno spazio piccolissimo che deve essere inserito tra i mille impegni della giornata. Iniziative come queste, ovvero i festival e gli eventi letterari, sono da un lato meritevoli perché attirano l’attenzione su qualcosa che ha bisogno di attenzione, ma allo stesso tempo vanno ad inserirsi in un “mercato” dell’intrattenimento. Dell’intrattenimento di alto livello, naturalmente, ma fanno sempre parte del “Cosa facciamo stasera? Andiamo al cinema, a prendere un cocktail, a prendere un aperitivo o a vedere uno scrittore che parla?”.
Quindi il rischio di questi eventi è che diventino una sorta di “spettacolarizzazione”, che diventino uno dei tanti canali della televisione. Ovviamente il punto, e in particolare nel Premio Gregor von Rezzori è questo che conta, è la qualità. Questo è un festival che garantisce la non commercialità di ciò che propone. Non vengono premiati gli autori che noi siamo abituati a vedere in televisione, ma qualcosa di diverso. Quindi per forza di cosa chi viene qua deve crearsi un vuoto per entrare in contatto con delle esperienze letterarie di altissimo livello.

In un’altra intervista lei ha detto che il rapporto tra dei ragazzi con la letteratura è viziato da un’impostazione scolastica, giustamente a mio parere. Se lei dovesse spiegare ad un ragazzo che la letteratura non è solo quella che noi studiamo e da cui dobbiamo imparare che però percepiamo distante da noi, ma può appartenerci e può essere un mezzo intimo per analizzare la nostra personalità, come lo spiegherebbe?

Prima di tutto bisogna dire che leggere non è obbligatorio. Io non penso che la letteratura sia l’unico mezzo per farsi delle domande o per raggiungere chissà quale consapevolezza di sé, ce ne sono moltissime: quindi prima di tutto bisogna sgomberare il campo dall’equivoco che se non si legge siamo superficiali. Ci sono persone che non hanno mai aperto un libro ma che hanno una profondità assoluta: il punto è fare dei pensieri grandi. In secondo luogo, penso che la letteratura e l’adolescenza siano due luoghi molto simili. Sono dei luoghi in cui ci si trova ad avere a che fare con delle enormi contraddizioni, con le emozioni dai segni più opposti, dall’allegria alla depressione. Credo che si possa dire solo questo ad un ragazzo. Ed un ragazzo ha tutto il diritto di poter essere affascinato da questo luogo, o di dirsi “basto io”. Quanto alla scuola, non credo che esista nessuna ricetta per far venir voglia ad un ragazzo di leggere. L’unica cosa che si può passare ad una persona è l’effetto che fa a te. Prendiamo due bambini che giocano, un bambino vuole il gioco dell’altro: ma tendenzialmente non vuole solo il gioco dell’altro, ma vuole gli occhi che ha l’altro bambino quando gioca. Quindi l’unica cosa che si può tentare è un contagio. Ci sono insegnanti noiosissimi, ma che hanno una tale passione per ciò che insegnano, che magari può passare a uno o due dei suoi studenti. Questo è quello che conta, non solo con gli insegnanti ma anche con i genitori e i figli: il fatto di aver davanti qualcuno vero.

Parlando di Cartarescu, lo scrittore nella conferenza ha descritto il suo tempio della letteratura: al primo piano ha posto la narrativa, al secondo la poesia e al terzo le visioni. In cima a questo tempio Mircea ha posto lo scrittore che per lui racchiude questi tre piani, che è Kafka. Se lei dovesse porre qualcuno su questa cima, che scrittore sarebbe?

Questa poetica che Cartarescu ha corrisponde anche alla stratificazione dei suoi libri, i suoi libri hanno questi tre piani. Il pensiero comune è che Kafka sia stato il più grande scrittore, quantomeno del Novecento, è davvero quello che è riuscito a coniugare il piacere della lettura, l’ironia, l’angoscia.. è difficile pensare a uno scrittore più grande di Kafka.

Sempre Cartarescu ha detto, poco fa, che “la mancanza di successo è la cosa più nobile per uno scrittore”. Questa è un’affermazione innovativa nella società attuale dove gli scrittori sono, generalmente, sempre più avidi di successo e di notorietà. Lei che ne pensa?

Beh è vero, e questo è legato al fatto che la letteratura sia diventata uno dei filoni del mercato. Allo scrittore per sopravvivere è richiesta una performance economica, o meglio una performance editoriale che produca degli utili; è  messo nella condizione di tentare in tutti i modi di procacciarsi il numero di lettori sufficienti ad ottenere quel risultato economico che gli consente di sopravvivere. Questo innesca un meccanismo deleterio che è quello di rispondere a un’aspettativa, il tentativo di capire cosa piacerebbe leggere alle persone, che è poi quello su cui si basa il marketing. Tutti noi tendiamo a rispondere all’aspettativa degli altri, è un istinto comune anche nei rapporti umani. Questo nello scrittore può, non necessariamente, determinare un abbassamento della qualità, perché nella letteratura il vero obbiettivo è deludere l’aspettativa, deludere il lettore, far crollare la sua visione del mondo. Quindi naturalmente quella di Cartarescu era una provocazione e quando la letteratura è, come lui dice, un “fiore nella miniera”, cioè quando tenta di farsi vedere per quello che è, allora sì che è una grande letteratura. Detto questo, ogni scrittore nel mondo da quando esiste il mercato ha il desiderio che il suo libro venda milione di copie.

Giulia Cozzi
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