“Con questo libro si è completato il processo di me uomo, fino ad allora non avevo ancora raggiunto il completamento della mia personalità e non volevo diventare padre sapendo che non ero realizzato”
Il 18 novembre è stato invitato all’istituto dei ciechi Giuseppe Lupo (Atella, Potenza, 1963), scrittore, saggista e insegnante di letteratura italiana contemporanea presso l’Università cattolica del Sacro Cuore a Milano. Lo scrittore in quest’occasione ha presentato il il suo libro di esordio “L’americano di Celenne” con cui ha vinto il prestigioso premio Giuseppe Berto e il premio Mondello. Il suo intervento è stato introdotto da una citazione del poeta e scrittore portoghese Antonio Pessoa: “La letteratura, come tutta l’arte, è la confessione che la vita non basta”. Accompagnato dalle domande guida dell’amico giornalista Stefano Salis, Lupo ha narrato la propria storia per poi passare alla presentazione del suo libro. L’autore, rievocandosi durante il periodo della stesura del libro, si descrive come “un provinciale dalla faccia di bronzo”, un ragazzo che “parlava con l’accento con cui parla ancora adesso” alla ricerca di un padrino, cioè una persona che avrebbe potuto raccomandarlo ad una casa editrice e tale ruolo fu svolto dallo scrittore Raffaele Crovi, il quale lesse il libro e gli disse di buttarlo via, ma gli suggerì di fare una scaletta per la stesura della trama: la storia di di un emigrante in America. Lupo prosegue descrivendo da dove è nata l’idea del protagonista Danny Leone e tal proposito dichiara di aver sempre amato storie che mettono in contatto mondi lontani e per delineare l’ambientazione in cui si muove Danny si è resa necessaria un’approfondita documentazione su diversi registri: film, canzoni, avvenimenti sportivi, opere artistiche, insomma tutto ciò che avrebbe potuto delineare un’immagine vivida e realistica dell’America dei primi anni Novanta. Danny infatti approda in America come emigrante e, dopo la fine del mito americano, ritorna in Italia, dove riuscirà a tramutare il suo piccolo paesino della Basilicata in un “mondo nuovo”, un mondo in cui gli abitanti vengono contagiati dal suo spirito americano. L’autore afferma: “Danny ritorna in Italia con cognizione di causa portando con sé il magazzino di miti offertogli dall’America” e non nasconde di essersi ispirato ad alcune persone vissute realmente o anche di aver immaginato personaggi capaci di incarnare modi di fare, di dire e di pensare di un paesino provinciale, traendo spunto anche dalla sua vicenda personale. Lupo identifica così il suo libro come un romanzo storico dalle vive descrizioni introspettiche della psicologia dei personaggi e della società che tratteggia; espone quindi la sua predilezione per i libri che dipingono uno spaccato: “La mia idea è sempre stata quella di raccontare il Novecento, un secolo a cui sono molto legato e a cui appartengo”. L’incontro si è concluso con l’esposizione del significato che ha avuto la pubblicazione del libro dal punto di vista dell’autore, che si confessa dicendo: “Con questo libro si è completato il processo di me uomo, fino ad allora non avevo ancora raggiunto il completamento della mia personalità e non volevo diventare padre sapendo che non ero realizzato”. Il romanzo tuttavia fu pubblicato quattro anni dopo che diventò padre e per questo motivo Lupo lo dedicò alle figlie.