Liliana Segre durante la conferenza da lei stessa tenuta nella Sala Viscontea del Castello Sforzesco, presenta il suo libro “Scolpitelo nel vostro cuore”, testimonianza scritta per adempiere al suo compito di ricordare e dare la parola a chi è cenere al vento solo per la colpa di essere nato, a chi veniva considerato “l’altro”, il nemico, un oggetto numerato destinato alle fiamme. La senatrice afferma che ciò che la spinge ad andare avanti sono i ragazzi, a cui dedica particolare attenzione. Quando è stata deportata, ha perso tutto, ha provato a non avere nulla nella vita, se non il proprio corpo nudo.“Se perdi tutto, capisci quanto siano importanti le persone. Le cose non sono nulla.” Si rivolge ai ragazzi parlando da nonna, porgendo loro un consiglio sincero, più simile a un ammonimento: come testimoniato dalla cronaca nera, i giovani si instupidiscono sempre più spesso in discoteca tra le luci e la droga, scegliendo la via della distruzione e attaccandosi solo all’oggetto del desiderio, assumendo un atteggiamento irrispettoso verso chi lotta per restare in vita un solo giorno in più. Liliana ha scelto la vita, nonostante le terribili ingiustizie sofferte. Le è stato sostituito il nome con un numero (che tuttora esibisce), ha subito l’indifferenza del mondo intero che davanti alle atrocità non interveniva (gli alleati non bombardarono i binari e le fabbriche dei campi, nessuno si occupò delle persone nei lager) e ha sofferto di indicibili stenti, paragonabili alla fame patita dal Conte Ugolino, personaggio dell’Inferno dantesco. È stata schiava, in un anno è cambiata diventando un’ameba, un pezzo che non si interessava delle persone che cadevano intorno a lei. La sua unica libertà, era quella di pensare. Il pensiero volava sopra i fili spinati, era personale, nessuno glielo poteva togliere: con la forza della mente si è attaccata alla vita fino alla fine, camminando “una gamba dopo l’altra”, non si è buttata a terra per farsi uccidere, ma ha cercato il punto in cui la neve non fosse rossa. Quando nel campo arrivò la primavera, miracolo che si ripete ogni anno portando vita, la guerra stava finendo: adesso erano i tedeschi ad avere paura. I soldati tedeschi si liberavano delle loro divise e delle loro armi, mandavano via i loro cani, sperando in questo modo di sfuggire agli Alleati. Anche il crudele comandante che li aveva sempre terrorizzati, buttò la divisa in un fosso e gettò la pistola per terra. Liliana racconta che ebbe la tentazione di raccoglierla e uccidere il tedesco ai suoi piedi: le sembrava il giusto finale della storia, ma capì di essere diversa dal suo assassino. Nonostante tutto rifiutò di assecondare il desiderio di morte. È stato in quel momento che ha scelto la vita ed è diventata davvero libera.