Gli eventi culturali visti dai giovani delle scuole superiori

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Chiacchiere da Bar con lo Stato Sociale

in Bookcity / Milano/Festival by

La loro prima graphic novel ma anche la prima volta che sono saliti al secondo piano della Triennale di Milano: cinque bolognesi che di solito cantano e si fanno chiamare Lo Stato Sociale ci hanno raccontato di Andrea, una storia nata un po’ come nascono le loro canzoni e disegnata da Luca Genovese, il giovane dai capelli rossi che sedeva accanto a loro. Invasa dalla loro spontaneità e semplicità la conferenza si è trasformata in una simpatica chiacchierata al bar di Andrea, il protagonista bolognese della graphic novel, che vive dietro il bancone e serve tutti i giorni i suoi clienti. «Noi per il momento facciamo la band che non si occupa soltanto di musica», ci raccontano: il papà di Andrea è Bebo (detto anche Alberto Guidetti), che è stato capace di «chiacchierare con i regaz» e incastrare le parole giuste negli schizzi di Luca. Il risultato? Una storia dove per 120 pagine viene raccontato Andrea, mentre nel finale gli autori hanno cercato di farsi un po’ da parte perché – come ci spiegano – è quello il momento di gloria del lettore, che finalmente prende in mano la storia e sceglie cosa farsi insegnare da questa. «Non è un finale aperto, ma noi non vogliamo farvi una morale, ci piacerebbe che fosse per davvero il lettore ad appropriarsi di quello che secondo noi è la fetta più importante della cultura e dell’arte in generale, ovvero: cosa mi lascia?».

E a me ha lasciato la sua voglia irrefrenabile di scappare dalla realtà e dal suo bar a cui continua inevitabilmente a sentirsi attaccato, perché «scappar di casa sembra facile ma casa è sempre casa».

La mia curiosità più grande è stata poter immaginare quali canzoni dello Stato Sociale Andrea avrebbe cantato se li avesse ascoltati in quella fase così difficile della sua vita: «Forse “Linea 30”, ma anche “Eri più bella come ipotesi” e sotto sotto “Piccoli Incendiari Crescono”», mi hanno risposto, dando ancora più spessore alla figura di quel ragazzo di Bologna che ci hanno raccontato emozionati e coinvolti in prima persona in tutto quello che hanno scritto. Sono stata un po’ di parte, forse, ma vedere loro è stato bello come sedersi al tavolo di un bar con gli amici.

Letture al buio

in Bookcity / Milano/Festival by

L’istituto dei Ciechi di Milano, durante l’evento di Bookcity, ha dato la possibilità ai cittadini di scoprire un nuovo modo di leggere, dimostrando che il bisogno di cultura investe tutti, anche le persone che leggono in maniera diversa. Durante l’introduzione alle letture è stato fatto un discorso molto importante e significativo, che ha colpito profondamente chiunque era in quella sala. I LIBRI SONO PER TUTTI: leggere migliora l’umore, la salute e la vita. Una formazione culturale riesce a far raggiungere livelli alti anche alle persone che non vedono. L’Istituto dei Ciechi ne è l’esempio vivente, le meravigliose persone che ne fanno parte sono i testimoni dell’affermazione nella vita e della possibilità di superare gli ostacoli attraverso la cultura. Ciò è stato evidente a tutti, durante le letture di libri scritti da questi eroi. La forza d’animo di un uomo può abbattere qualsiasi tipo di ostacolo gli venga posto davanti, se c’è volontà naturalmente. I libri che sono stati presentati sono: “Caso Kellan” di Franco Vanni, un giallo delicato e intenso ambientato a Milano; “Il nostro momento imperfetto” di Alessandra Boschi, storia di una professoressa universitaria alla quale è stata stravolta la vita; “Nina sente” di Claudia De Lillo, un giallo particolare che si svolge su due piani; infine “Il vento contro” di Daniele Cassoli, una magnifica storia di rivincita che ha fatto venire i brividi a chi ha avuto la possibilità di ascoltarla. Le letture sono state eseguite dagli autori stessi, che leggevano in un modo unico… e non tanto per lo strumento che utilizzavano per leggere, ma proprio per il modo in cui leggevano. Durante le loro letture si era completamente catturati, proprio perché la sensibilità di queste persone entrava all’interno delle parole dei libri. Mentre leggevano si capiva che non stavano usando i loro occhi, perché gli ascoltatori riuscivano a percepire l’odore, il tatto e il gusto della storia. È stata un’esperienza unica, nessuna persona sarebbe mai stata in grado di enfatizzare e rendere curiosa la lettura come hanno fatto loro in quell’aula, mangiandosi quelle righe, quei capitoli, quelle pagine. La diversità di queste persone, in questo modo, è diventata il loro punto di forza rispetto agli altri. È impossibile credere che la società odierna sia ancora impreparata a rendere accessibile le opportunità a chiunque. È un diritto imprescindibile. Se le opportunità sono inaccessibili per una categoria di persone c’è discriminazione ed è lì che inizia la cosiddetta “mancanza” di sensibilità.

Licia Troisi – “E’ impossibile trovare un equilibrio, le cose cambiano sempre”

in Bookcity / Milano/Festival by

Licia Troisi presenta a Bookcity Milano 2018 il suo ultimo libro.

Autrice della famosissima saga fantasy Le cronache del mondo emerso, ritorna con un nuovo capitolo de La saga del dominio, intitolato L’isola del santuario. E’ il terzo capitolo della saga, dopo Le Lame di Myra e Il fuoco di Acrab. La protagonista è alle prese con un’avventura intensa che la metterà alla prova. Prosegue la lotta contro il suo peggior nemico, Acrab, determinato ad impadronirsi del dominio delle lacrime. Nel libro si susseguono lotte intense e conflitti interiori tra i due. E’ un rapporto malato, in cui Acrab considera Myra una sua proprietà, ma allo stesso tempo è succube di lei. “E’ impossibile trovare un equilibrio, perché le cose cambiano sempre”, spiega l’autrice. Licia Troisi racconta che, quando inizia a scrivere, viene trasportata dal flusso della storia e, solo dopo averla finita o addirittura chiusa, confrontandosi con i lettori, capisce il perché l’ha raccontata.

L’autrice si ispira ai manga per raccontare l’aspetto più crudo della guerra, attraverso un combattimento con arma bianca. Le saghe permettono di prendere una pausa tra un libro e l’altro e, contemporaneamente, tessere degli archi narrativi più ampi. Nei suoi fantasy è facile trovare aspetti e tematiche della contemporaneità, come la lotta per l’affermazione della donna, le tematiche ecologiste, la maternità. Licia rappresenta se stessa in quasi tutti i personaggi femminili delle sue saghe. Ad esempio Nihal, dalle Cronache del Mondo Emerso, rappresenta la sua adolescenza; Sofia, La ragazza drago rappresenta tutte le sue insicurezze, come la paura di volare; Pandora rappresenta la sua parte più eccentrica, che si veste goth, ma con il desiderio di essere invisibile. Il fantasy, per certi versi, ricorda ancora come un singolo riesca a cambiare le cose.

“…che Dio perdona tutti” – Pif @BCM18

in Bookcity / Milano/Festival by

Non so se riuscirò a cambiare qualcosa, ma ci devo provare fino in fondo ma soprattutto io non devo cambiare” ci dice Pif, in una piccola e breve intervista che ci ha gentilmente rilasciato, in occasione del suo nuovo romanzo “…che Dio perdona tutti”. Pif lo ha introdotto oggi al teatro Parenti e ha sorpreso tutti con la sua capacità di coinvolgere, entusiasmare e divertire la platea. Dopo un singolare aneddoto sul titolo del romanzo, ha infatti iniziato a scherzare con il pubblico in quella sua maniera tipicamente sagace e con pungente ironia, in perfetta sintonia con l’intervistatore, Massimo Cirri. La nostra domanda è stata molto semplice, ma forse non del tutto scontata: “ il tuo successo ha avuto un’influenza sul tuo modo di porti? Ti sei sentito limitato o non libero di dire apertamente quello che pensi?”

ho semplicemente imparato a calibrare le occasioni in cui espormi” ci ha detto per raccontarci come vive questa sua popolarità. E aggiunge “non voglio diventare un rumore di fondo”, anche se non ha “la pretesa di pensare che la mia opinione sia fondamentale per il paese”. Ma è innegabile: il Pif del “Testimone”, si sentiva molto più sciolto nell’esternare le proprie idee ed opinioni, mentre ora – confessa – è costretto ad una sorta di autoregolamentazione per non tradire la sua caratteristica genuinità. Sembra quasi una contraddizione. Ammiriamo la coerenza di Pif e anche la sua capacità di trattare temi delicati con una leggerezza tale da non renderli assolutamente banali ma capace di arrivare alla profondità effettiva dell’argomento. Sono infatti l’idealismo la coerenza di Pif l’oggetto della nostra seconda domanda; come si può essere coerenti in un mondo che coerente non è?

Essere coerenti è la cosa più difficile del mondo” ci dice “e non sempre ci si riesce, ma almeno tentarci è fondamentale”

Una vita per immagini

in Bookcity / Milano by

Un giorno rimasi stupita quando qualcuno mi chiese -Suo fratello ha sofferto molto?-, io risposi -Sì, ma da cosa l’ha capito?- -Da ciò che provo guardando le sue fotografie-, ecco quella straordinaria capacità di Steve di trasmettere emozioni attraverso uno sguardo, una scena, un gesto, quello è il suo più grande talento” Con questo aneddoto Bonnie, la sorella del forse più importante fotografo vivente, ci descrive il magnifico dono di Steve McCurry, la sua strabiliante capacità di giungere al cuore delle persone, di suscitare emozioni travolgenti con un solo scatto. Un’altra simpatica curiosità è raccontata dallo stesso McCurry: “A volte mi capita di girare per strada e rimanere come incantato dallo sguardo di qualcuno, come fosse magnetico, allora non riesco a resistere dal domandare se possa scattargli delle fotografie, molti rifiutano, altri no, addirittura ho dovuto pagarne alcuni in passato, ma a volte mi succede così, di essere come colpito improvvisamente da qualcuno, allora è più forte di me il desiderio di scattare, di fermare su pellicola quello straordinario scorcio di vita quotidiana”, questo desiderio di ritrarre persone comuni, ma magnetiche, catalizzanti, streganti, sta alla base della spontaneità e della grande capacità comunicativa delle opere di Steve McCurry, forse l’idea di rendere speciale il quotidiano, di far entrare in contatto lo sguardo, e così anche le storie e le sensazioni, dello spettatore e del soggetto ritratto, sono i motivi per cui è così apprezzato, ammirato e stimato.

Intervista a Steve McCurry

Q: Cosa prova quando scatta le foto per strada alle persone sconosciute?

A: Bè, penso che le foto quelle belle rimangano con te e penso che tu possa vedere le emozioni.

Q: Riguardandole, prova le stesse emozioni?

A: Se sono belle avrai sempre le stesse emozioni poi dopo. Penso che le foto belle abbiano lunga vita.

ENGLISH VERSION

Q: Which emotions did you feel when you shoot the photos on the street?

A: Well, you know that i think good pictures stay with you and i think you have seen the emotions.

Q: Do you feel the same way after a long time when you look at those picutes?

A: If they are good pictures you have same feelings years later. I think good pictures have a long life.

 

          

Le mille luci di New York – Cosa spinge un uomo a trasferirsi oltreoceano?

in Bookcity / Milano by

“Con questo libro si è completato il processo di me uomo, fino ad allora non avevo ancora raggiunto il completamento della mia personalità e non volevo diventare padre sapendo che non ero realizzato”

Il 18 novembre è stato invitato all’istituto dei ciechi Giuseppe Lupo (Atella, Potenza, 1963), scrittore, saggista e insegnante di letteratura italiana contemporanea presso l’Università cattolica del Sacro Cuore a Milano. Lo scrittore in quest’occasione ha presentato il il suo libro di esordio “L’americano di Celenne” con cui ha vinto il prestigioso premio Giuseppe Berto e il premio Mondello. Il suo intervento è stato introdotto da una citazione del poeta e scrittore portoghese Antonio Pessoa: “La letteratura, come tutta l’arte, è la confessione che la vita non basta”. Accompagnato dalle domande guida dell’amico giornalista Stefano Salis, Lupo ha narrato la propria storia per poi passare alla presentazione del suo libro. L’autore, rievocandosi durante il periodo della stesura del libro, si descrive come “un provinciale dalla faccia di bronzo”, un ragazzo che “parlava con l’accento con cui parla ancora adesso” alla ricerca di un padrino, cioè una persona che avrebbe potuto raccomandarlo ad una casa editrice e tale ruolo fu svolto dallo scrittore Raffaele Crovi, il quale lesse il libro e gli disse di buttarlo via, ma gli suggerì di fare una scaletta per la stesura della trama: la storia di di un emigrante in America. Lupo prosegue descrivendo da dove è nata l’idea del protagonista Danny Leone e tal proposito dichiara di aver sempre amato storie che mettono in contatto mondi lontani e per delineare l’ambientazione in cui si muove Danny si è resa necessaria un’approfondita documentazione su diversi registri: film, canzoni, avvenimenti sportivi, opere artistiche, insomma tutto ciò che avrebbe potuto delineare un’immagine vivida e realistica dell’America dei primi anni Novanta. Danny infatti approda in America come emigrante e, dopo la fine del mito americano, ritorna in Italia, dove riuscirà a tramutare il suo piccolo paesino della Basilicata in un “mondo nuovo”, un mondo in cui gli abitanti vengono contagiati dal suo spirito americano. L’autore afferma: “Danny ritorna in Italia con cognizione di causa portando con sé il magazzino di miti offertogli dall’America” e non nasconde di essersi ispirato ad alcune persone vissute realmente o anche di aver immaginato personaggi capaci di incarnare modi di fare, di dire e di pensare di un paesino provinciale, traendo spunto anche dalla sua vicenda personale. Lupo identifica così il suo libro come un romanzo storico dalle vive descrizioni introspettiche della psicologia dei personaggi e della società che tratteggia; espone quindi la sua predilezione per i libri che dipingono uno spaccato: “La mia idea è sempre stata quella di raccontare il Novecento, un secolo a cui sono molto legato e a cui appartengo”. L’incontro si è concluso con l’esposizione del significato che ha avuto la pubblicazione del libro dal punto di vista dell’autore, che si confessa dicendo: “Con questo libro si è completato il processo di me uomo, fino ad allora non avevo ancora raggiunto il completamento della mia personalità e non volevo diventare padre sapendo che non ero realizzato”. Il romanzo tuttavia fu pubblicato quattro anni dopo che diventò padre e per questo motivo Lupo lo dedicò alle figlie.

 

 

Non smettere di sognare! – “Ricordati che puoi sempre cambiare idea” #BCM18

in Bookcity / Milano by

Il libro “Se non sbagli non sai che ti perdi” racconta, attraverso un dialogo tra i due autori, Mara Maionchi e Rudy Zerbi, di cambiamenti e di mete da raggiungere.

È un libro per chi ha un sogno nella vita e ha paura di intraprendere il cammino che porta a realizzarlo. “Se non sbagli non sai che ti perdi” è il messaggio che vogliono portare: l’errore è un aiuto che induce a pensare. Sbagliare significa averci provato. Questa frase è rivolta sia agli adulti che ai ragazzi perché tutti hanno paura di sbagliare. Rudy utilizza una metafora per incoraggiare a non arrendersi mai: “Fin da piccoli, da quando camminiamo per la prima volta, abbiamo paura di cadere e se cadiamo non vorremmo più rialzarci, invece è proprio rialzandoci che impariamo a camminare”. Sostiene che anche nella vita funziona così: cadendo nell’errore impariamo a non caderci più. Tutti abbiamo un sogno nel cassetto, spesso però le paure ci frenano. Alcuni di noi, per raggiungere i propri obiettivi, dovranno fare più fatica ma con una forte volontà tutti possono farcela. Chi ha una passione deve portarla avanti, magari non avrà successo ma non deve scoraggiarsi: ci sono tanti lavori interessanti nell’ambito del proprio sogno. Rudy Zerbi ne è un esempio con il suo successo nel mondo della musica.

Mara Maionchi e Rudy Zerbi si raccontano e spronano i giovani a seguire i propri desideri. Il sogno di Mara Maionchi era di riuscire a vivere e lavorare a Milano, città in cui avrebbe potuto avere più possibilità di realizzare i propri sogni. Inizialmente lavora per varie aziende e solo successivamente entra a far parte di una casa discografica che le permetterà di lavorare nel mondo della televisione. Rudy Zerbi, invece, nasce con un futuro già scritto. La sua famiglia possiede infatti alcuni alberghi e i genitori avrebbero voluto che lavorasse in questo ambito che gli avrebbe permesso di condurre una vita agiata ma il suo desiderio era quello di lavorare nel mondo della musica. La sua carriera inizia con un lavoro da dj in varie discoteche, in seguito lavora in radio e infine partecipa a numerosi talent show televisivi. Nel libro le persone si dividono in due categorie: i purosangue e i somari. I purosangue hanno qualcosa in più che li fa brillare, sono fenomeni ma sono pochi e non sempre prenderanno il volo. I somari invece devono “farsi il mazzo” per dimostrare chi sono, sono persone normali che non mollano mai pur di realizzare il proprio sogno nel cassetto. Mara e Rudy si rivolgono proprio ai non fenomeni, ai somari. Affermano che ognuno di noi può dimostrare con impegno, fatica e tanto lavoro che tutto è possibile nella vita. Nessun raccomandato arriva in cima, conta solo la bravura e tanta pratica. Si pensa che lo studio giornaliero sia superficiale ma in realtà solo con il continuo esercizio, per quanto noioso, si può arrivare al proprio obiettivo. Bisogna lavorare sempre, non darsi mai per vinti e mettersi continuamente in discussione. Come ci racconta l’esperienza di Mara che ha vissuto nel mondo dei talent show, i “no” che ci arrivano nella vita ci indicano la direzione da prendere e vanno sempre valutati perché sono uno stimolo in più per continuare a seguire i nostri sogni. Ci vuole del tempo per trovare la propria strada e raggiungere il successo, non tutti sono pronti nello stesso momento e allo stesso modo. Mara afferma:“La vita è una guerra che continua tutta la vita”. L’evento si conclude con un consiglio per chiunque creda in un sogno: “In qualsiasi ambito lavorativo devi sapere cosa succede intorno a te, cosa fanno le persone attorno a te e solo in questo modo avrai la tranquillità di fare al meglio ciò che devi fare tu”. Divertirsi aiuta a sopravvivere e bisogna trovare qualcosa di piacevole in ogni cosa che si fa, cercando di trovare ciò che ci appassiona.

Dopo l’evento Mara Maionchi e Rudy Zerbi accettano di rispondere ad alcune curiosità del Giornale dei Ragazzi di Book City.

GdR: “I talent show puntano alla costruzione di un personaggio artistico che segua ad esempio la moda del mercato, secondo voi questo sminuisce l’artista?”

Mara disapprova: “Non sono convinta di questo. Noi non costruiamo niente, noi troviamo. Non si può costruire un artista che non c’è. L’artista dà dei segnali di chi vuole essere e noi cerchiamo di seguirlo nei suoi segnali. Non esiste nessuna costruzione, io sono contraria a qualsiasi costruzione. Credo che l’artista nel proporsi ti dia già un’indicazione di chi è e bisogna vedere quanto tempo ci vuole perchè questa realizzazione possa essere confermata dai fatti”. Continua dicendo: “Questa è l’unica possibilità che hai di fare successo, non c’è nessuna finta che ti porta al successo. L’artista sente i tempi: i testi che funzionavano una volta non possono funzionare più perché il mondo è cambiato. Ma è l’artista stesso che ti comunica questi cambiamenti.”

GdR: “Spesso si sente dire che la persona meno talentuosa, quindi il somaro, che però si impegna di più, può arrivare dove magari non arriva il talento senza l’impegno. E’ vero?”

Mara sostiene che: “Il duro lavoro batte il talento, quando il talento non lavora duro”. Aggiunge inoltre: “Il lavoro esiste per tutti e due ma se uno ha talento e non lo coltiva non succede niente, può buttarsi via. Bisogna lavorare sempre che tu abbia o meno talento ma chi lavora di più, chi intuisce di più, chi si mette ad ascoltare tutto ha dei risultati migliori. Anche ascoltare è un lavoro.”

 

                    

Liliana Segre a BCM#18

in Bookcity / Milano by

Liliana Segre durante la conferenza da lei stessa tenuta nella Sala Viscontea del Castello Sforzesco, presenta il suo libro “Scolpitelo nel vostro cuore”, testimonianza scritta per adempiere al suo compito di ricordare e dare la parola a chi è cenere al vento solo per la colpa di essere nato, a chi veniva considerato “l’altro”, il nemico, un oggetto numerato destinato alle fiamme. La senatrice afferma che ciò che la spinge ad andare avanti sono i ragazzi, a cui dedica particolare attenzione. Quando è stata deportata, ha perso tutto, ha provato a non avere nulla nella vita, se non il proprio corpo nudo.“Se perdi tutto, capisci quanto siano importanti le persone. Le cose non sono nulla.” Si rivolge ai ragazzi parlando da nonna, porgendo loro un consiglio sincero, più simile a un ammonimento: come testimoniato dalla cronaca nera, i giovani si instupidiscono sempre più spesso in discoteca tra le luci e la droga, scegliendo la via della distruzione e attaccandosi solo all’oggetto del desiderio, assumendo un atteggiamento irrispettoso verso chi lotta per restare in vita un solo giorno in più. Liliana ha scelto la vita, nonostante le terribili ingiustizie sofferte. Le è stato sostituito il nome con un numero (che tuttora esibisce), ha subito l’indifferenza del mondo intero che davanti alle atrocità non interveniva (gli alleati non bombardarono i binari e le fabbriche dei campi, nessuno si occupò delle persone nei lager) e ha sofferto di indicibili stenti, paragonabili alla fame patita dal Conte Ugolino, personaggio dell’Inferno dantesco. È stata schiava, in un anno è cambiata diventando un’ameba, un pezzo che non si interessava delle persone che cadevano intorno a lei. La sua unica libertà, era quella di pensare. Il pensiero volava sopra i fili spinati, era personale, nessuno glielo poteva togliere: con la forza della mente si è attaccata alla vita fino alla fine, camminando “una gamba dopo l’altra”, non si è buttata a terra per farsi uccidere, ma ha cercato il punto in cui la neve non fosse rossa. Quando nel campo arrivò la primavera, miracolo che si ripete ogni anno portando vita, la guerra stava finendo: adesso erano i tedeschi ad avere paura. I soldati tedeschi si liberavano delle loro divise e delle loro armi, mandavano via i loro cani, sperando in questo modo di sfuggire agli Alleati. Anche il crudele comandante che li aveva sempre terrorizzati, buttò la divisa in un fosso e gettò la pistola per terra. Liliana racconta che ebbe la tentazione di raccoglierla e uccidere il tedesco ai suoi piedi: le sembrava il giusto finale della storia, ma capì di essere diversa dal suo assassino. Nonostante tutto rifiutò di assecondare il desiderio di morte. È stato in quel momento che ha scelto la vita ed è diventata davvero libera.

 

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